DI MARIO MICOSSI

Il progetto espositivo nasce nell’ambito della XXXIII edizione del Festival Internazionale di Musica Sacra organizzato da Centro Iniziative Culturali Pordenone, Comune di San Vito al Tagliamento, Presenza e Cultura e con il sostegno della Regione FVG.
Mario Micossi (1926-2005), artista friulano, ma internazionale, ha dedicato l’amore del creato, del “naturale”, alla montagna, alle Carniche come alle Giulie, alle Dolomiti e infine ai grandi monti della catena himalayana che egli, da grande appassionato, visitò osservò e ritrasse in un gran numero di tavole incise.

[…] La tecnica soprattutto usata è quella dell’acquatinta, per gli effetti latamente “pittorici” che essa permette attraverso le raffinate stesure cromatiche che si avviano dall’attento e paziente lavoro dell’artista.
Sono, tutte queste vedute di Micossi, una realtà trasformata in fantasia, una ben concreta, verificabile successione di piani che diventano visione, quasi favola, un modo per trasferire ciò che gli occhi concretamente vedono in una sorta di “dover essere” del mondo in cui veramente si trasmette quell’Amor Naturae, di cui parla il titolo dell’esposizione.
Molti gli esempi che si possono fare, qualcuno almeno andrà un po’ delineato, per rendere più concreto e verificabile il nostro discorso.
Castello di Udine con Alpi Giulie, acquatinta. Estremamente suggestiva la visione della città, lasciata intuire attraverso i suoi culmini e campanili, con insediato al centro il Castello, vero nel volume, ma assai alleggerito dalla luce bianca che lo investe, dal sottile disegno dell’architettura, che separa e distanzia dalle montagne, tuttavia ricollegate visualmente ad esso dal chiarore della neve che illimpidisce l’azzurro più profondo con cui è delineato tutto lo spazio dell’alpe.


È questo, appunto, uno dei mezzi espressivi più efficaci che Micossi usa: l’impostare tutta la visione su due toni, il bianco e l’azzurro, qui separati solo da una zona di sapientissimo grigio-nero. L’effetto che così egli ottiene è quello di far diventare la realtà rappresentata quasi un cristallo dipinto, fermato per sempre in una luce che è nello stesso tempo vera e sognata.
Il bianco e l’azzurro sono sostituiti, in altre tavole, da una dominante rosso-ocra sapientemente intersecata da caldi grigi di diversa tonalità, come si vede per esempio nel bellissimo trittico dedicato al Tagliamento: che diventa, nel montaggio di tre tavole, quasi un’incantata opera astratta, senza tuttavia perdere il fascino paesistico da cui è suggerito.
Altre volte dominano i neri e i grigi, contrastati da fasce di bianchi sottilmente vibranti: è il caso, per esempio, di Jof Fuart e Valbruna, con la grande montagna che diventa quasi il fondale di una storia leggendaria e un po’ inquietante: perché Micossi sente anche il mistero, e il pericolo, della montagna.
O le sinfonie che riguardano le Dolomiti, come Tre cime di Lavaredo e Croda dei Toni, sera, oppure Averau, Cinque Torri e Tofana di Rozes, da Cortina, che sono, nella loro vastità, come dei poemi visivi; o, per un ultimo esempio, Everest da Rongphuck, Tibet, acquatinta classicamente impostata, con un primo piano più scuro che fa risaltare la mole maestosa del monte nei suoi toni rosso-ocra, un’immagine di realtà che traduce tuttavia anche il trasalimento, la meraviglia, la stupefatta contemplazione di un uomo, Mario Micossi, che guarda l’imponenza della natura. E noi con lui.
Giancarlo Pauletto

DI STEFANO ORSETTI

Il progetto espositivo nasce nell’ambito della XXXIII edizione del Festival Internazionale di Musica Sacra organizzato da Centro Iniziative Culturali Pordenone, Associazione Media Naonis Cordenons, Presenza e Cultura e con il sostegno della Regione FVG.
Ubi charitas et amor, Deus ibi est, dice l’antica sequenza cristiana, Dio c’è dove c’è l’amore, e l’amore è appunto verso Dio, verso l’uomo e verso le cose create, la natura, come ci ricorda il Cantico di Francesco d’Assisi.


A rendere per immagini il tema dell’Amor hominis, cioè dell’amore verso l’uomo, abbiamo pensato di riproporre la mostra che Stefano Orsetti – artista di Portogruaro uscito dalla scuola di Vedova a Venezia – realizzò presso il Monastero del Marango, tra Concordia e Caorle, nel 2014.
In quella mostra, intitolata Uomo in mare. Le migrazioni dell’uomo Orsetti rifletteva, attraverso le sue pitture ma anche attraverso un immaginario dialogo tra due persone, sul tema dei migranti, riferendosi in particolare al terribile naufragio accaduto l’11 ottobre del 2013 presso l’isola di Lampedusa.


Egli specificava, nell’introduzione al catalogo, che si trattava in fondo di uno story board, cioè di una sequenza narrativa che invitava a riflettere sul tema delle migrazioni umane ben al di là dei tanti incitamenti alla paura e anche all’odio che accompagnavano e accompagnano il fenomeno, esistente da tempi remotissimi, le cui cause vanno indagate con obiettività, se si vuole comprenderlo e farvi fronte in maniera civile, senza perdere le coordinate fondamentali che sostengono l’idea stessa dei “diritti umani”, idea la cui perdita segnerebbe un imbarbarimento gravissimo della nostra convivenza sociale.
[…] La solidarietà, in altre parole, dovrebbe scaturire dalla chiara consapevolezza che è l’umanità intera che si deve salvare, tutta assieme, dal suo possibile naufragio, determinato dalle contrapposizioni e dalle guerre, che oggi possono diventare una sola, l’ultima: la guerra nucleare totale.Basta – ci pare – questo esempio per capire che si tratta di una mostra fortemente impegnata sul piano etico e che richiede anche allo spettatore un impegno serio di osservazione e riflessione. […]
Giancarlo Pauletto

Intermezzo musicale con Prisca Luce Verardo
Ventiduenne sacilese, ha iniziato lo studio del violino a 6 anni. Ha studiato con Michele Lot e David Filipe. Ha seguito corsi di perfezionamento con vari professionisti, tra cui Gianpiero Zanocco, Massimo Belli, Giancarlo Nadai, Luca Braga, Ilya Grubert, Elliot Lawson, Amiram Ganz, Davide Zaltron. Si esibisce come solista in varie occasioni accompagnata dal pianoforte, dall’organo, dall’orchestra. Ha partecipato con successo ai concorsi violinistici di Cittadella, Piove di Sacco, Padova e Pordenone. Collabora con l’orchestra del Duomo di Pordenone e con formazioni da camera. Ha seguito una masterclass di musica folklorica svedese con Mia Marine.
Nel 2021 ha vinto il concorso e studia presso l’Accademia di Musica Lettone “Jazeps Vitols” di Riga (Lettonia), sotto la guida della docente Tereze Ziberte-Ijaba. In questo contesto ha partecipato a varie masterclass con i docenti Tamar Bulia (Georgia), Tobias Granmo (Svezia), Nuno Soares (Portogallo), Luis Ruben Gallardo (Spagna).
Nel 2024 ha seguito una masterclass a Vienna con Thomas Christian ed è stata selezionata per il concerto finale.

PROGRAMMA
Georg Philip Telemann (1681-1767)
Fantasia n. 1 in Si bemolle maggiore
Largo – Allegro – Grave – Allegro

Max Reger (1873-1916)
Wiegenlied

Henryk Wieniawski (1835-1880)
Saltarello op.18 n.4

LE PAROLE SPALANCATE

Intervento musicale di Alice Martina, arpa
Musiche di Hindemith

A cura di Giancarlo Pauletto
Coordinamento Maria Francesca Vassallo e Stefano Padovan
494a mostra d’arte
SESTO AL REGHENA
SALONE ABBAZIALE SANTA MARIA IN SILVIS
2 DICEMBRE 2023 – 14 GENNAIO 2024
dal venerdì alla domenica 10.00-12.00 / 15.00-18.00 Chiuso il 25 e 26 dicembre 2023 e il 1° gennaio 2024

[…] Immagini, social e cellulari ingombrano la nostra esistenza ventiquattro ore al giorno, la facilità e l’apparente imme­diatezza della pubblicità sovrastano, la poesia invece vuole calma e concentrazione, niente di meno richiesto dentro le coordinate del mondo in cui viviamo.
È perciò un atto di speranza già il fatto di riferirci alla po­esia, anche non tenendo conto dei temi che in essa possa­no venir trattati: se non ci fosse, almeno sotto sotto, una qualche speranza di ascolto, sarebbe ben difficile non solo scriverla, la poesia, ma ancor di più leggerla.
Perché mentre scriverla può alla fine dare la stessa, agra soddisfazione che a un musicista senza pubblico può dare la sua musica, concentrarsi per leggerla rischia davvero di diventare uno sforzo difficile da motivare. Dunque in questa mostra ci sono poesie perché noi comun­que speriamo: speriamo che il pubblico le legga con atten­zione, e voglia anche provare a seguire gli artisti nelle loro interpretazioni visive, esercizio certamente utile per pene­trare sia nel mondo dei poeti, come in quello dei pittori.
[…] dal testo di Giancarlo Pauletto

GIANENRICO VENDRAMIN FOTOGRAFARE IL FUTURO

Ingresso libero

Sabato e Domenica ore 10.30 – 12.30 / 15.30 – 19.00

Per saperne di più: www.centroculturapordenone.it/cicp

Fotografo per passione, osservatore e ritrattista inesausto del mondo rurale e del suo paesaggio umano e naturale, Gianenrico Vendramin (San Vito al Tagliamento 1929-2008) ha prodotto in trent’anni di lavoro un vasto fondo documentale dedicato al mondo contadino friulano, attualmente in forze agli archivi del CRAF Spilimbergo. Un omaggio all’impegno di Vendramin e alla sua opera arriva con la mostra “Gianenrico Vendramin. Fotografare il futuro”, che il CICP Centro Iniziative Culturali Pordenone, in sinergia con il Comune di San Vito al Tagliamento e con PEC, Presenza e Cultura, promuove da sabato 16 settembre nella Chiesa di San Lorenzo a San Vito al Tagliamento, dove resterà visitabile fino al 29 ottobre. Realizzato a cura di Giancarlo Pauletto per il coordinamento di Maria Francesca Vassallo e Antonio Garlatti, il percorso espositivo è anche la seconda tappa di avvicinamento alla 32^ edizione del Festival internazionale di Musica Sacraquest’anno di scena sul tema “speranza”. Un filo rosso che certamente interpreta bene la mostra fotografica incentrata sul lavoro di Gianenrico Vendramin, con una cinquantina di scatti che evidenziano la sua attenzione al mondo dell’infanzia e della giovinezza, sinonimo dell’idea di futuro e insieme di speranza. «Il nostro tema 2023, “speranza” – sottolineano il presidente di Presenza e Cultura Orioldo Marson e la presidente del Centro Iniziative Culturali Pordenone Maria Francesca Vassallo – ha un significato universalmente umano, perchè la speranza è una delle forze principali che animano la nostra vita qui, sulla terra, produce futuro, è potente spinta al fare, al creare. E i bambini, i ragazzi, i giovani sono una grande immagine di speranza, così come i piccoli degli animali, dall’agnello al capretto, sono immagini di vita futura, e anche le piccole piante si ammantano di un bisogno di protezione, che è pur sempre la protezione di una possibilità di vita».

DAL GREMBO DELLA TERRA

Albanese, De Gottardo, Dugo, Giannelli, Magnolato,
Massagrande, Murtić, Roma, Tramontin, Zuccheri
Intervento musicale di Emma Melchior, arpa
Musiche di Tournier, Hasselmans, Salzedo
Ingresso libero

Per saperne di più: www.centroculturapordenone.it/cicp

Una raccolta di paesaggi, boschi, alberi e fiori, segni di quel grande generare terrestre, che fonda la speranza della vita umana. Il percorso espositivo, che resterá visitabile fino al 30 settembre, è anche la prima tappa della 32^ edizione del Festival Internazionale di Musica Sacra, dedicato quest’anno al tema speranza.

Videointerviste

Intermezzo musicale con Emma Melchior

Ha 18 anni e frequenta il Liceo Classico “Jacopo Stellini” a Udine.
Ha iniziato a poco più di un anno a frequentare la scuola di musica Ritmea di Udine, grazie la quale ha avuto i primi approcci alla musica, e ha fin da piccola manifestato la sua passione per l’arpa, che ha iniziato a suonare già prima di aver compiuto i 6 anni di età.
Attualmente sta frequentando il II anno di Triennio della scuola di arpa presso il Conservatorio “Jacopo Tomadini” di Udine e fa parte dell’Orchestra Ventaglio d’Arpe, diretta dalla Prof.ssa Patrizia Tassini, con cui si è già esibita anche all’estero. Ha partecipato a diversi concorsi internazionali, soprattutto in Italia e Slovenia, piazzandosi sempre ai primi posti della propria categoria.

PROGRAMMA
Marcel Tournier
Etude de Concert – Au Matin

Alphonse Hasselmans
La Source

Carlos Salzedo
Chanson dans la nuit

A cura di Giancarlo Pauletto
Coordinamento Maria Francesca Vassallo e Antonio Garlatti
491a mostra d’arte

NATIVITAS

I PRESEPI DI UMBERTO VALENTINIS

Nell’ambito delle iniziative del XXXI Festival Internazionale di Musica Sacra 2022 “Trinitas. Trinità dell’Umano”. Progetto espositivo organizzato da Presenza e Cultura, Comune di San Vito al Tagliamento, Centro Iniziative Culturali Pordenone e con il sostegno della Regione FVG.

Servizio TGRFVG di martedì 6 dicembre 2022 / ediz 19.30

Questi Presepi si potrebbero definire “Scenografie della Natività”:
luoghi dove si dispiega il racconto della Nascita.
Due tipologie si alternano, talvolta combinandosi.

Alla prima appartengono i presepi dove l’elemento paesistico prevale,
mentre nella seconda è l’elemento architettonico a dominare,
ma in molti vi è un’alternanza delle due tipologie.
Nei Presepi “paesistici” è l’assemblaggio degli elementi naturali di partenza:

– radici, frammenti di ceppaia, cortecce, elementi minerali -,
a suggerire soluzioni formali, a orientare i criteri di organizzazione del materiale.
L’immaginazione dell’artefice, immersa nel suo vissuto, gremita di reminiscenze iconografiche,
risponde alle suggestioni formali che riconosce, annidate nei materiali,
assecondandole fino a dare forma alle loro segrete potenzialità espressive.
In questo tipo di Presepi il disegno, e quindi il progetto, non preesistono alla loro realizzazione,

che è in tutto e per tutto, “opera in divenire”.
Molto più importante del disegno è qui la sensibilità analogica dell’artefice,
educata al gioco incessante della metamorfosi,
e a quello delle mutevoli corrispondenze che attraversano la natura.

Videointerviste a cura di Giorgio SImonetti

486a mostra d’arte a cura di Giancarlo Pauletto e Bruno Beltramini
Coordinamento Maria Francesca Vassallo e Stefano Padovan
SESTO AL REGHENA
SALONE ABBAZIALE SANTA MARIA IN SILVIS
3 DICEMBRE 2022 – 15 GENNAIO 2023
dal venerdì alla domenica 10.00-12.00 / 15.00-18.00
Chiuso il 25 e 26 dicembre 2021 e il 1° gennaio 2023
INGRESSO GRATUITO
www.comune.sesto-al-reghena.pn.it / www.viedellabbazia-sesto.it
Ufficio Turistico – Sesto al Reghena tel. 0434.699701

INTERMEZZO MUSICALE CON
GIOVANNI FLOREANI
Cornamusa e zampogna

Muusiche della tradizione natalizia

Giovanni Floreani. Diplomato all’Istituto Tecnico Malignani e Master Europa Innovation. Frequenta corsi privati di fisarmonica e chitarra dal 1967 al 1969 proseguendo poi da autodidatta. Inizia il suo percorso di attenta ricerca musicale alla tradizione folk degli anni ’80. Diventa musicista professionista nel 1996, dopo aver svolto innumerevoli lavori, dall’agricoltore all’impiegato, da agente di rappresentanza al designer.
Nel 1996 fonda l’Associazione Furclap (produzioni artistiche e musicali, spettacoli, animazioni) e nel 1999 la società Colori (organizzazione eventi e allestimento set). Nel 2002 promuove la costituzione di una società cooperativa che si occupa degli adempimenti fiscali di artisti, musicisti e attori. La sua carriera include la realizzazione di numerosi CD, DVD, pubblicazioni, produzioni teatrali, innumerevoli partecipazioni a festival musicali e artistici e seminari in tutta Italia e all’estero in Austria, Francia, Eritrea, Scozia, Svizzera.

In collaborazione con Associazione Culturale Furclap


FRANCO DUGO. L’ANTICO NEL NUOVO

Da Dürer Rembrandt Leonardo Vermeer
Arte che viene dall’arte

Venticinque opere dell’artista goriziano a testimoniare la perenne suggestione che l’arte dei grandi maestri del passato ha esercitato ed esercita nella contemporaneità

Franco Dugo, con i suoi straordinari ritratti, provocherà il nostro coinvolgimento, la nostra reazione. Il nostro sguardo non potrà essere quello di uno spettatore disattento e veloce. Formale e abitudinario.
Dovremo lasciarci catturare da quei volti, dove ogni segno e ogni ruga riportano a vita vissuta. E che vite. Durer, Rembrandt, Leonardo, Vermeer e tutti gli altri che saranno esposti al pubblico, forse sorpresi di trovarsi in un luogo mai visto e altrettanto ricco di storia e storie. L’Abbazia di Sesto al Reghena. Quando usciremo da quelle sale non potremo essere uguali a prima. Sarà questo il contributo, impagabile, che la forte personalità di Dugo ci mette a disposizione partecipando, con le sue opere, al progetto “L’antico nel nuovo”, a cui è dedicata la ventitreesima edizione del Festival Internazionale di Musica Sacra. Assieme a lui musicisti, esperti e studiosi per condurci, ciascuno con i propri linguaggi, in tempi e luoghi dove tante culture diverse si incontrano e si trasformano alla ricerca, è il nostro caso, di un senso alto, sacro, dell’esistenza. Maria Francesca Vassallo

INTRODUZIONE ALLA MOSTRA
di Giancarlo Pauletto
Fin dagli inizi – attorno al settanta, quando Franco Dugo decise infine che sarebbe stato artista e solo artista – la realtà è stata il tema, il perno attorno al quale ha girato, da allora, tutta la sua arte, che si è espressa e ancora si esprime attraverso l’olio, il pastello, il disegno, molto ampiamente con l’incisione, e che si è provata anche in talune notevoli prove di scultura.
Quello che si vede, e quello che si pensa attorno a quello che si vede, è sempre stato il luogo dell’analisi, il problema: la vita umana, da una parte, e la vita della realtà, dall’altra, come grandi interrogativi dai quali l’attenzione non si è mai scostata per ragioni evidentemente legate alla cultura e al temperamento dell’artista, a ciò che dentro di noi ci fa quello che siamo e che è d’altro canto l’unico vero sostegno sul quale la pianta che siamo può crescere ed eventualmente fruttificare.

La sequenza di esempi che potremmo fare a sostegno di queste affermazioni è molto lunga, perché molto lunga è ormai anche l’attività di Dugo: almeno alcuni passaggi, tuttavia, andranno delineati, perché ci permetteranno di capire meglio che genere di realtà Dugo tematizzi, in che modo si pongano i suoi interrogativi e anche le sue soluzioni estetiche.
Ciò permetterà di capire anche la ragione della sua lunga, costante riflessione su taluni grandi maestri del passato, la quale è appunto l’oggetto particolare di questa rassegna, perfettamente coerente con il tema che è al centro anche delle iniziative musicali, cui questa mostra si pone come accompagnamento e, in qualche modo, integrazione dal punto di vista di un ulteriore linguaggio.
Se, alla metà degli anni settanta, i temi sono quelli delle “aristocratiche”, cioè di ricche signore anziane che vivono proprio nel loro corpo la stessa dissoluzione della carne, e poi il tema della follia in cui, attraverso soluzioni figurative nitidissime e fredde, si esprime la solitudine e l’abbandono, non è solo, ci pare, per polemica sociale: è anche perché l’attenzione dell’artista è sullo specifico della condizione umana, al di là delle situazioni estreme che qui vengono rappresentate.
Infatti qualche anno dopo, nell’ottanta, passando prima attraverso il tema del corvo, si giunge alle “identificazioni”, la grande serie che Dugo prende sì dalla fotografia criminale a cavallo tra otto e novecento, per farne tuttavia una secca, metafisica domanda sull’identità umana in generale, sul “cos’è” della vita stessa.
A questo punto appare chiaro all’artista che l’immagine, ogni immagine, non ha più bisogno di supporti simbolici, letterari, per dire quello che deve dire.
Basta il ritratto, per esempio lo splendido ritratto del padre del1989, basta la figura di Cézanne seduto davanti al proprio cavalletto, del 1997, basta tutta la splendida serie dei pugili tra fine anni ottanta e inizi anni novanta, bastano i notissimi ritratti di poeti, letterati e musicisti, tra i quali si annoverano molte delle riuscite più alte di Dugo.
Questo guardare la figura esattamente nei suoi contorni, mettendola davanti a noi in tutta la sua precisa nitidezza, usando allo scopo un colore severo, del tutto alieno da compiacimenti, significa alla fine mettere lo spettatore di fronte a se stesso: così Kafka e Pasolini ci guardano, dal fondo degli occhi, per caricarci di tutte le loro domande, e noi sappiamo che i loro problemi d’esistenza sono in fondo anche i nostri.
E’ appunto quando è matura la consapevolezza che l’immagine basta a se stessa, che Dugo può passare anche alla rappresentazione della natura, a partire dal “Grande albero” del 1989.
Se infatti il vero problema che pone la vita è quello della sua nuda esistenza nel tempo, allora la vita della natura – che è poi l’ambito dell’umano, né esso potrebbe essere altrove – pone lo stesso mistero della vita dell’uomo, e collina, cielo, bosco albero mare e nuvole suscitano gli stessi interrogativi “metafisici” che pone la vita umana.
Si sviluppa da qui tutta la lunghissima serie di paesaggi, incisi e dipinti a olio e pastello, che l’artista va realizzando dagli anni novanta, sulla quale non ci possiamo soffermare in questa circostanza, ma di cui possiamo dire in sintesi che continua a sottolineare il dato già espresso dell’interrogazione e del mistero.
In questo contesto, come si inseriscono i vari e ampi episodi pittorici e grafici, in cui Dugo prende spunto più o meno direttamente dai grandi del passato, Leonardo e Rembrandt, Dürer e Vermeer?
La prima risposta è ovvia, e pertiene al fatto che egli non è mai stato attirato dall’arte astratta: non perché non ne comprenda le ragioni, ma perché non è essa che può incidere sulla sua sensibilità, e le ragioni mi sembrano abbastanza chiaramente espresse in quanto è detto sopra.
Dunque è la grande tradizione del figurativo, in particolare come si è manifestata nel rinascimento e nel barocco, che è al centro della sua attenzione, in vari episodi tra i quali si tematizzano i quattro sopra citati.
Questa attenzione peraltro si sposta anche verso i grandi contemporanei o quasi, come dimostrano ad esempio i lavori che Dugo ha dedicato alle figure di Cézanne e Picasso.
L’altra ragione sarà da ricercare io penso nell’ammirazione: si tratta di maestri così alti che anche l’artista contemporaneo che opera in campo figurativo non può far a meno di conoscere a fondo.
E questo è l’altro importante motivo: parafrasare le loro opere per cogliere qualche segreto, per imparare qualcosa, naturalmente operando non in pura imitazione, ma esaltando un’essenza che viene colta nelle opere antiche.
Così, solo per fare qualche esempio, dal “Cavaliere la morte e il diavolo” del Dürer è tolta tutta l’ambientazione, ed è lasciata a campeggiare sul grande formato solo la potenza dell’incedere del cavaliere.
Così, di Rembrandt sono ripresi soprattutto i ritratti della vecchiaia, nei quali il pittore si considera con occhio sempre più problematico.
Attorno alla Gioconda di Leonardo si ricostruisce la storia del celebre furto, operato al fine di poter vendere alcuni falsi della famosa figura, sorta di ironica meditazione sugli inganni di cui l’arte può essere nello stesso tempo vittima, ma anche fautrice, attraverso il mito di quasi sovrumanità che non sempre innocentemente le viene creato attorno.
Mentre invece nelle riprese da Vermeer sembra che Dugo voglia sottolineare, rispetto al modello, una sorta di maggior peso realistico, del resto coerentemente con lasua sensibilità.
Insomma, l’arte trattata come un pezzo di realtà, l’antico che si riversa in una nuova intenzione. Giancarlo Pauletto

Con il piede straniero sopra il cuore

Europa 1943/45: tre testimonianze friulane
Moretti Ceschia De Rocco

Luciano Ceschia, Federico De Rocco e Mario Moretti, presenti con le loro opere nella mostra “Con il piede straniero sopra il cuore”, portano nelle storiche sale dell’Abbazia di Santa Maria in Sylvis di Sesto al Reghena la propria esperienza di guerra e di prigionia. Un passaggio importante nel XXIV Festival Internazionale di Musica Sacra che ci accompagna “Da Oriente a
Occidente, oltre le frontiere”
, con un programma di concerti, mostre, seminari, percorsi sul territorio.
Inaugurato a ottobre con la prima nazionale del monodramma “Il diario di Anna Frank”, con il partenariato del Teatro Statale dell’Opera e del Balletto di Lubiana per commemorarne il settantesimo della scomparsa e la fine della Seconda Guerra Mondiale, ora vuole offrire un’ulteriore motivo di riflessione attraverso opere di tre importanti artisti che rappresentano il Friuli Venezia Giulia ben oltre i confini nazionali. La lunga storia di Sesto al Reghera e della sua Abbazia, nel tempo sempre al centro di un intersecarsi di vicende che hanno lasciato il segno nel suo borgo e nelle sua mura, rappresenta una fondamentale occasione per ampliare ulteriormente conoscenza e motivi di affezione ai luoghi. Con grande riconoscenza al Comune e al suo Sindaco per il coinvolgimento e la collaborazione.. Maria Francesca Vassallo

GIANNI PIGNAT

CODICI D’ORIENTE TRA ICONA E FORMA

La mostra “Codici d’Oriente tra icona e forma” di fatto apre il percorso, da ottobre a maggio, tra concerti, mostre, seminari, esperienze sul territorio, del Festival Internazionale di Musica Sacra che nella sua ventiquattresima edizione è dedicato a “Da Oriente a Occidente, oltre le frontiere”.
Un invito a entrare nei grandi cambiamenti di oggi, e di sempre, attraverso testimonianze di musicisti, artisti, storici e itinerari dove i confini culturali e reali si sono dilatati o sono stati travolti. Con accadimenti che proprio nei nostri tempi sono esplosi drammaticamente.
Gianni Pignat, grande viaggiatore tra luoghi e culture, ha vissuto e vive in questa dimensione. Senza confini. Quando si muove nei cinque continenti per i suoi reportage fotografici o per ricerche su personaggi fino a quel momento sconosciuti; quando trasforma ceramica, vetro, metalli oppure si dedica al design. E anche quando, entrando nel suo studio, ci spiega quel suo sistema naturale di climatizzazione.
Troviamo tutto questo negli spazi dell’Antico Ospedale dei Battuti, in pieno centro storico, che il Comune di San Vito al Tagliamento offre alla mostra. Condivisione non solo di spazi, ma di lungo impegno ad attualizzare storia e cultura aprendo a collaborazioni divenute importanti e continuative anche per il Centro Culturale Casa A. Zanussi di Pordenone, soprattutto ora, nella ricorrenza del suo cinquantennale di attività. Maria Francesca Vassallo

Bruno Fadel. Diari della sopraffazione

Nell’ambito delle iniziative del XXVI Festival Internazionale di Musica Sacra 2017 Dialoghi di pace. Mostra d’arte a cura di Presenza e Cultura e del Centro Iniziative Culturali Pordenone. In collaborazione con il Comune di Sesto al Reghena. A cura di Giancarlo Pauletto

Da quando lo conosco, e sono passati ormai tanti anni, non ho memoria che Bruno Fadel si sia mai applicato ad opere di pittura o di grafica – ma anche ad installazioni, o a lavori fotografici – che non fossero, in qualche modo, implicati con il sociale. Un sociale, intendo, non cavato da intenzioni pedagogiche, quasi egli ritenesse di avere il compito, o il dovere, di insegnare qualcosa agli altri: cavato, invece, dalla sua costituzionale incapacità di avvertire se stesso – in quanto uomo prima, e dunque inevitabilmente in quanto artista – come persona isolata dal resto della società, e quindi non implicata nei suoi travagli, non attraversata dalle sue crisi. Certo, ricordo opere degli anni novanta, e anche di prima, incardinate su una sorta di “sismografia del tempo”, opere in cui si registrava una personale reazione a contraddizioni di cui ciascuno ha esperienza nella vita quotidiana: ma ben lontane dal caratterizzarsi per chiusura e solipsismo, erano accompagnate da una così lata ed evidente proiezione oltre il sé, da diventare immediatamente segno aperto di condivisa umanità. Così quegli “Eventi” quei “Naufragi”, quei “Paesaggi” quei “Racconti” erano la testimonianza di un “vivere tra”, di un “essere con”, tanto è vero che nasceva, proprio nel duemila, in corrispondenza con l’istituzione del “Giorno della memoria”, quel lungo lavoro sul tema di Auschwitz che annovera ad oggi oltre cinquecento pagine di elaborazione e di testimonianza, mentre nello stesso tempo l’artista continuava a lavorare ad altri “libri” dedicati al tema dell’Olocausto e a quello del genocidio armeno, al tema dei migranti e della morte in mare, e in genere a temi legati alla testimonianza della contraddizione sociale e della guerra, centri focali di un’attenzione che coinvolge nello stesso clima d’indagine e sofferenza sia il soggetto che guarda, come la società medesima a cui egli è rivolto. (…)

Orari: dal venerdì alla domenica 10.00-12.00/15.00-18.00
Info: www.comune.sesto-al-reghena.pn.it / www.viedellabbazia-sesto.it
[email protected] / Ufficio Turistico – Sesto al Reghena tel. 0434.699701

CONCERTO DI APERTURA
CLARTET quartetto di clarinetti del Conservatorio di Udine

Francesco Cristante clarinetto soprano e piccolo
Federico Navone clarinetto soprano
Giacomo Cozzi clarinetto soprano
Leonardo Gasparotto clarinetto soprano e basso

Allievi del prof. Davide Teodoro presso il Conservatorio Tomadini di Udine, hanno seguito masterclass con L. Luccheta, R. Rusche-Staudinger, V. Paci, F. Meloni, I. Frantisak, K. Groetsch. Il quartetto si è aggiudicato il primo premio assoluto alla terza edizione del concorso “Diapason d’oro” nella categoria “Musica da camera”. Il repertorio comprende composizioni originali e trascrizioni che vanno dal periodo classico al Novecento.

PROGRAMMA
Guillaume Connesson (1970)
da Prelude et Funk: Prelude

Henri Tomasi (1901-1971)
da Trois Divertissement: Masquerade

Ferenc Farkas (1905-2000)
da Antiche Danze Ungheresi: Lassu

Pierre Max Dubois (1930-1995)
da Quatour: Pastorale – AllegroCoordinamento Maria Francesca Vassallo e Antonio Garlatti
Responsabili artistici Franco Calabretto, Eddi De Nadai, Giancarlo Pauletto