• 16 Novembre 2014
  • Duomo Concattedrale San Marco
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CARLO TEODORO violoncello e GERMANO SCURTI bayan

Il nuovo, l’antico
musiche di J. S. Bach, S. Gubajdulina, A. Pärt

L’accostamento insolito di due strumenti fascinosi, porta alla riscoperta o alla reinvenzione di un repertorio importante dedicato alla ricerca spirituale. Teodoro e Scurti, virtuosi del loro strumento e veri specialisti della musica d’oggi, indagano l’antico, il corale luterano rivisto da Bach, e guardano alla contemporaneità di compositori tra i più originali del nostro tempo, entrambi caratterizzati da una forte, a volte straziante, tensione spirituale nella loro musica e nella loro ricerca interiore.

L’idea di “memoria al futuro” ci sembra quanto mai appropriata per descrivere lo sviluppo che negli ultimi decenni ha vissuto la fisarmonica e in particolare modo la sua versione più evoluta: il bayan. Uno strumento musicale acustico di recente invenzione ed elaborazione che desta sorpresa e nello stesso tempo familiarità.
La sua origine, radicata nella tradizione popolare, e i suoi sviluppi negli ultimi decenni nella musica colta contemporanea vanno proprio a definire questo suo carattere duplice: essere uno strumento predisposto all’inedito e al tradizionale allo stesso tempo, una marcatura che probabilmente lo rende inconfondibile. Considerazioni queste che stanno alla base del presente programma, caratterizzato appunto dalla valorizzazione della suddetta connaturata duplicità: la produzione di memoria e lo slancio verso il futuro, il sentimento della familiarità e l’attivazione perturbante dell’inedito.
La stessa combinazione bayan-violoncello che qui proponiamo rivela una altrettanto sorprendente duplicità: due diverse forme di produzione del suono che, tanto all’orecchio, quanto a una analisi fisico-acustica dello spettro armonico, rivelano una affinità tonale quanto mai unica.

Johann Sebastian Bach
Suite n. 1 in sol maggiore BWV 1007 (1720)
Fu composta nel 1720 circa, quando Bach si trovava al servizio della corte calvinista di Köthen. Consta di una successione di un preludio e cinque danze, che alternano tempi veloci a tempi lenti.
Il Preludio è costituito da serie di arpeggi spezzati con grande forza trainante, la cui ripetizione, spesso simmetrica, è talvolta interrotta da quartine di passaggio che lentamente delineano le trasformazioni armoniche; si conclude in maniera toccante dopo una scala cromatica ascendente spezzata e un lungo pedale all’acuto.
Nell’Allemanda una formula ritmico-melodica, subito dichiarata in apertura, plasma la logica del periodo, in una serie di enunciati musicali precisi e cantabili
La Courante è in stile italiano, dal ritmo brillante e incalzante. Le particelle tematiche ricompaiono a tratti regolari sulle diverse corde dello strumento, mentre il colore diverso e il mutamento dei registri, arricchiscono la tavolozza timbrica.
La Sarabanda condensa, nella sua struttura speculare di due volte otto battute, una carica di esitante introversione melodica. Ogni battuta ha un ritmo proprio, in una tensione anelante alla cantabilità più diffusa. La tersa, raffinata eleganza dei due Minuetti (uno nel tono d’impianto, l’altro in minore) e la semplicità lirica della Giga finale, concludono l’opera in un’atmosfera di rara elevatezza spirituale.

Sofija Asgatovna Gubajdulina
In Croce (1979/2009)
La compositrice russa affermò: «il simbolo di per se stesso è un fenomeno vivo […].
Cosa vuol dire simbolo? Secondo me la massima concentrazione di significati, la
rappresentazione di tante idee che esistono anche fuori della nostra coscienza e il momento in cui questa apparizione si produce nel mondo: questo è il momento di fuoco della sua esistenza, perché le molteplici radici che si trovano al di là della coscienza umana si manifestano anche attraverso un solo gesto.»
Il simbolo utilizzato in questo brano è quello della croce, trasposta in musica a livello grafico, strutturale, esecutivo e cristologico. Una croce è formata dal suonatore di bayan che dispiega il suo strumento, un’altra croce dal violoncellista che tende l’arco sulle corde. I due strumenti iniziano a suonare proponendo forti differenze di registro, di fraseggio, di timbrica, scambiandosi poi man mano reciprocamente – sempre nel rispetto della simbologia della croce – i rispettivi parametri: registro alto/registro basso, legato/staccato, diatonismo/microcromatismo.
La musica comincia in maniera relativamente diatonica, col bayan che emette pulsazioni acute e il violoncello che intona le sue note più gravi, entrambi focalizzandosi sulla nota mi. Lentamente i due strumenti si avvicinano e, man mano che procedono verso la “collisione”, aumentano i volumi e le intensità, sprigionando quasi aggressività.
Dopo un passaggio dai tratti piuttosto selvaggi di entrambi gli strumenti, ci si inoltra lentamente verso il silenzio; gli accordi dissonanti del bayan accompagnano le note spoglie del violoncello, mentre entrambi convergono nuovamente sul mi, in un finale sobrio e cupo.

Sofija Asgatovna Gubajdulina
De Profundis (1978)
Il De Profundis è la prima opera per bayan della compositrice russa e la prima volta in cui questo strumento viene inserito in un ambito simbolico-religioso.
Fu scritto in collaborazione con il fisarmonicista Friedrich Lips, che lo eseguì a Mosca nel 1980.
La gamma delle espressioni più peculiari del bayan aderisce perfettamente alle vere e proprie intonazioni organiche del lamento, del sospiro e del respiro; cluster si alternano a sonorità quasi elettroniche, vibrazioni celestiali a cupi boati.
Non si tratta di una trasposizione sillabica o immaginabile per la voce del salmo, ma di una reazione istintiva della compositrice, invocazione e supplica, sofferenza e speranza.
Lo strumento musicale diventa un corpo vivo che affronta un viaggio nel mondo del dolore, un attraversamento caratterizzato da una specifica origine e una altrettanto specifica destinazione: dalle scure profondità della sofferenza alla luminosità dell’ascensione.

Elena Firsova
Crucifixion op. 63 (1993)
Crucifixion fu composto nella primavera del 1993 per due interpreti straordinari, Karine Georgian ed Elsbeth Moser.
Ritorna il simbolo della croce, che si spoglia della sua valenza esclusivamente cristiana, per significare l’universalità della sofferenza umana, quasi a livello archetipico.
I contorni della forma sonata sono riconoscibili in questo brano, concepito come un concerto di un solo movimento.

Arvo Pärt
Fratres
Il celeberrimo compositore estone è conosciuto e amato per la sua scrittura personalissima che recupera antichi procedimenti compositivi e utilizza un materiale musicale rarefatto.
Esplicita in lui è la rinuncia all’armamentario moderno in favore di una rinnovata essenzialità.
Così Fratres, in una versione del tutto inedita
per bayan e violoncello, presenta una serie di variazioni su un tema di poche battute che unisce l’attività, a volte frenetica, e la quiete sublime, ovvero “l’istante e l’eterno – come osserva Pärt stesso – che stanno lottando dentro di noi”.
(note a cura di Germano Scurti)
 

… un recital di Germano Scurti si propone sempre come un rito capace di suscitare in sala forze incantatorie.
The Classic Voice

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