• Da 8 Novembre 2014
  • al 8 Dicembre 2014
  • Abbazia Santa Maria in Sylvis Sesto al Reghena
  • Da 8 Novembre 2014
  • al 8 Dicembre 2014
  • Abbazia Santa Maria in Sylvis Sesto al Reghena

FRANCO DUGO. L’ANTICO NEL NUOVO

Da Dürer Rembrandt Leonardo Vermeer
Arte che viene dall’arte

Venticinque opere dell’artista goriziano a testimoniare la perenne suggestione che l’arte dei grandi maestri del passato ha esercitato ed esercita nella contemporaneità

Franco Dugo, con i suoi straordinari ritratti, provocherà il nostro coinvolgimento, la nostra reazione. Il nostro sguardo non potrà essere quello di uno spettatore disattento e veloce. Formale e abitudinario.
Dovremo lasciarci catturare da quei volti, dove ogni segno e ogni ruga riportano a vita vissuta. E che vite. Durer, Rembrandt, Leonardo, Vermeer e tutti gli altri che saranno esposti al pubblico, forse sorpresi di trovarsi in un luogo mai visto e altrettanto ricco di storia e storie. L’Abbazia di Sesto al Reghena. Quando usciremo da quelle sale non potremo essere uguali a prima. Sarà questo il contributo, impagabile, che la forte personalità di Dugo ci mette a disposizione partecipando, con le sue opere, al progetto “L’antico nel nuovo”, a cui è dedicata la ventitreesima edizione del Festival Internazionale di Musica Sacra. Assieme a lui musicisti, esperti e studiosi per condurci, ciascuno con i propri linguaggi, in tempi e luoghi dove tante culture diverse si incontrano e si trasformano alla ricerca, è il nostro caso, di un senso alto, sacro, dell’esistenza. Maria Francesca Vassallo

INTRODUZIONE ALLA MOSTRA
di Giancarlo Pauletto
Fin dagli inizi – attorno al settanta, quando Franco Dugo decise infine che sarebbe stato artista e solo artista – la realtà è stata il tema, il perno attorno al quale ha girato, da allora, tutta la sua arte, che si è espressa e ancora si esprime attraverso l’olio, il pastello, il disegno, molto ampiamente con l’incisione, e che si è provata anche in talune notevoli prove di scultura.
Quello che si vede, e quello che si pensa attorno a quello che si vede, è sempre stato il luogo dell’analisi, il problema: la vita umana, da una parte, e la vita della realtà, dall’altra, come grandi interrogativi dai quali l’attenzione non si è mai scostata per ragioni evidentemente legate alla cultura e al temperamento dell’artista, a ciò che dentro di noi ci fa quello che siamo e che è d’altro canto l’unico vero sostegno sul quale la pianta che siamo può crescere ed eventualmente fruttificare.

La sequenza di esempi che potremmo fare a sostegno di queste affermazioni è molto lunga, perché molto lunga è ormai anche l’attività di Dugo: almeno alcuni passaggi, tuttavia, andranno delineati, perché ci permetteranno di capire meglio che genere di realtà Dugo tematizzi, in che modo si pongano i suoi interrogativi e anche le sue soluzioni estetiche.
Ciò permetterà di capire anche la ragione della sua lunga, costante riflessione su taluni grandi maestri del passato, la quale è appunto l’oggetto particolare di questa rassegna, perfettamente coerente con il tema che è al centro anche delle iniziative musicali, cui questa mostra si pone come accompagnamento e, in qualche modo, integrazione dal punto di vista di un ulteriore linguaggio.
Se, alla metà degli anni settanta, i temi sono quelli delle “aristocratiche”, cioè di ricche signore anziane che vivono proprio nel loro corpo la stessa dissoluzione della carne, e poi il tema della follia in cui, attraverso soluzioni figurative nitidissime e fredde, si esprime la solitudine e l’abbandono, non è solo, ci pare, per polemica sociale: è anche perché l’attenzione dell’artista è sullo specifico della condizione umana, al di là delle situazioni estreme che qui vengono rappresentate.
Infatti qualche anno dopo, nell’ottanta, passando prima attraverso il tema del corvo, si giunge alle “identificazioni”, la grande serie che Dugo prende sì dalla fotografia criminale a cavallo tra otto e novecento, per farne tuttavia una secca, metafisica domanda sull’identità umana in generale, sul “cos’è” della vita stessa.
A questo punto appare chiaro all’artista che l’immagine, ogni immagine, non ha più bisogno di supporti simbolici, letterari, per dire quello che deve dire.
Basta il ritratto, per esempio lo splendido ritratto del padre del1989, basta la figura di Cézanne seduto davanti al proprio cavalletto, del 1997, basta tutta la splendida serie dei pugili tra fine anni ottanta e inizi anni novanta, bastano i notissimi ritratti di poeti, letterati e musicisti, tra i quali si annoverano molte delle riuscite più alte di Dugo.
Questo guardare la figura esattamente nei suoi contorni, mettendola davanti a noi in tutta la sua precisa nitidezza, usando allo scopo un colore severo, del tutto alieno da compiacimenti, significa alla fine mettere lo spettatore di fronte a se stesso: così Kafka e Pasolini ci guardano, dal fondo degli occhi, per caricarci di tutte le loro domande, e noi sappiamo che i loro problemi d’esistenza sono in fondo anche i nostri.
E’ appunto quando è matura la consapevolezza che l’immagine basta a se stessa, che Dugo può passare anche alla rappresentazione della natura, a partire dal “Grande albero” del 1989.
Se infatti il vero problema che pone la vita è quello della sua nuda esistenza nel tempo, allora la vita della natura – che è poi l’ambito dell’umano, né esso potrebbe essere altrove – pone lo stesso mistero della vita dell’uomo, e collina, cielo, bosco albero mare e nuvole suscitano gli stessi interrogativi “metafisici” che pone la vita umana.
Si sviluppa da qui tutta la lunghissima serie di paesaggi, incisi e dipinti a olio e pastello, che l’artista va realizzando dagli anni novanta, sulla quale non ci possiamo soffermare in questa circostanza, ma di cui possiamo dire in sintesi che continua a sottolineare il dato già espresso dell’interrogazione e del mistero.
In questo contesto, come si inseriscono i vari e ampi episodi pittorici e grafici, in cui Dugo prende spunto più o meno direttamente dai grandi del passato, Leonardo e Rembrandt, Dürer e Vermeer?
La prima risposta è ovvia, e pertiene al fatto che egli non è mai stato attirato dall’arte astratta: non perché non ne comprenda le ragioni, ma perché non è essa che può incidere sulla sua sensibilità, e le ragioni mi sembrano abbastanza chiaramente espresse in quanto è detto sopra.
Dunque è la grande tradizione del figurativo, in particolare come si è manifestata nel rinascimento e nel barocco, che è al centro della sua attenzione, in vari episodi tra i quali si tematizzano i quattro sopra citati.
Questa attenzione peraltro si sposta anche verso i grandi contemporanei o quasi, come dimostrano ad esempio i lavori che Dugo ha dedicato alle figure di Cézanne e Picasso.
L’altra ragione sarà da ricercare io penso nell’ammirazione: si tratta di maestri così alti che anche l’artista contemporaneo che opera in campo figurativo non può far a meno di conoscere a fondo.
E questo è l’altro importante motivo: parafrasare le loro opere per cogliere qualche segreto, per imparare qualcosa, naturalmente operando non in pura imitazione, ma esaltando un’essenza che viene colta nelle opere antiche.
Così, solo per fare qualche esempio, dal “Cavaliere la morte e il diavolo” del Dürer è tolta tutta l’ambientazione, ed è lasciata a campeggiare sul grande formato solo la potenza dell’incedere del cavaliere.
Così, di Rembrandt sono ripresi soprattutto i ritratti della vecchiaia, nei quali il pittore si considera con occhio sempre più problematico.
Attorno alla Gioconda di Leonardo si ricostruisce la storia del celebre furto, operato al fine di poter vendere alcuni falsi della famosa figura, sorta di ironica meditazione sugli inganni di cui l’arte può essere nello stesso tempo vittima, ma anche fautrice, attraverso il mito di quasi sovrumanità che non sempre innocentemente le viene creato attorno.
Mentre invece nelle riprese da Vermeer sembra che Dugo voglia sottolineare, rispetto al modello, una sorta di maggior peso realistico, del resto coerentemente con lasua sensibilità.
Insomma, l’arte trattata come un pezzo di realtà, l’antico che si riversa in una nuova intenzione. Giancarlo Pauletto

Galleria

                        object(WP_Post)#12453 (24) {
  ["ID"]=>
  int(2945)
  ["post_author"]=>
  string(1) "1"
  ["post_date"]=>
  string(19) "2014-10-14 08:50:00"
  ["post_date_gmt"]=>
  string(19) "2014-10-14 06:50:00"
  ["post_content"]=>
  string(5157) "

Il XXIII Festival di Musica Sacra, si amplia quest’anno in un progetto articolato che segue come traccia di riflessioni “L’antico nel nuovo”. Un percorso in cui si uniscono musicisti, artisti e critici d’arte, studiosi di storia della chiesa e della musica. Concerti, mostre, cicli di incontri si susseguiranno da ottobre 2014 ad aprile 2015, per raccogliere suggestioni e significati di un tempo che sempre si rinnova. Il progetto ha due fili conduttori tra loro intrecciati. Innanzituto il dialogo interreligioso e interculturale, esigenza oggi imprescindibile, trovandoci nell’epoca della globalizzazione e di una comunicazione che, grazie alle moderne tecnologie, non ha quasi più confini ma anche della convivenza in ogni luogo, tra persone appartenenti a culture, etnie e religioni diverse. E inoltre il rapporto tra l’antico e il nuovo, quindi le loro possibili innumerevoli reciproche contaminazioni e i significati che queste ultime possono assumere. Si coglie, allora, come i due filoni portanti del progetto necessariamente si incontrino: il rispetto e il consolidamento della propria identità, l’apprendimento dalla storia (l’antico) rappresentano una ricchezza da investire per la generazione di novità, per l’individuazione di risposte innovative a bisogni che evolvono (il nuovo). Ma ciò è possibile solo in una dimensione dialogica.

Nel progetto “L’antico nel nuovo” si fa portatrice di questo messaggio l’espressione artistica, nelle sue diverse forme. Il Festival di Musica Sacra, alla sua ventitreesima edizione, è occasione d’incontro di culture religiose e momento di valorizzazione di espressioni di popoli diversi con interpreti di alto valore artistico scelti nel panorama nazionale e internazionale. La mostra dell’artista Franco Dugo nelle sale del complesso abbaziale di Sesto al Regehena, comunica il valore e la ricchezza dell’osmosi tra antico e nuovo. Si tratta, infatti, di opere ispirate dai grandi maestri del passato, ai quali l’artista riconosce la capacità di insegnare anche all’oggi. Si inserisce nel percorso una serie di incontri di approfondimento che rappresentano momenti in cui sedimentare le suggestioni artistiche: sull’arte nello spazio liturgico tra Friuli, Slovenia e Nord Europa, sulle visioni apocalittiche nella musica del Novecento, sul contributo della musica cattolica tra '800 e '900 sull'umanità di Dmitri Shostakovich; su momenti di storia della chiesa: l'Europa cristiana dalle millenarie controversie alla modernità; e Fede e celebrazioni nelle esperienze cristiane. Alcuni percorsi guidati saranno, infine, l’occasione anche per una riflessione sulla perdita di valore degli spazi di relazione storici a svolgere la loro funzione di luoghi d’incontro, mentre contemporaneamente nuovi luoghi di relazione sembrano essere individuati nella pratica quotidiana e, forse, altre trasformazioni si presenteranno in un’ottica di multiculturalità. Possiamo dire che questo Festival Internazionale di Pordenone è una iniziativa ormai storica per il territorio non solo friulano, ma pure veneto e anche per realtà europee soprattutto contermini. Per la crescente partecipazione di anno in anno, può dirsi che appartenga anche alla categoria del turismo culturale. A condizione che la parola turismo non venga ristretta, sia pure senza escluderli, agli ambiti della gastronomia e dell’ospitalità alberghiera.

Il nostro Festival ha la consapevolezza di un turismo consistente anche negli scambi, tra regioni, nazioni, realtà socio-culturali, istituzioni le più varie, di esperienze e presenze mutuate. Scambi che trasmettono conoscenze e collaborazioni; espansioni, quindi, per quel che ci riguarda, a un notevole raggio di influenze reciproche sotto i più vari profili: dalle sinergie di competenze, dall’interazione tra varie forme di arte e cultura, alla stessa conoscenza diretta del nostro territorio attraverso informazioni allargate, partecipazioni crescenti, incontri di approfondimento con specialisti e quindi itinerari guidati nelle zone più interessanti, e spesso altrettanto sconosciute, della nostra regione. “Antico e nuovo”, “lontano e vicino”, quindi, possono essere formule veritiere e parametri caratteristici del nostro modo di intendere turismo culturale e perciò collegare espressioni di musica, arte e cultura, di varie forme e tempi, e pure conoscenze del territorio nei suoi valori antichi e attuali. Investendo di volta in volta istituzioni, associazioni, personaggi che sono espressione di realtà diverse, in sé molto valide, ma tutte bisognose di connessioni, contro una ancestrale tendenza all’isolamento e all’accontentarsi di se stessi, per una chiusura ormai insostenibile.

Luciano Padovese - Presidente Presenza e Cultura
Maria Francesca Vassallo -
Presidente Centro Iniziative Culturali Pordenone

" ["post_title"]=> string(19) "XXIII Edizione 2014" ["post_excerpt"]=> string(0) "" ["post_status"]=> string(7) "publish" ["comment_status"]=> string(6) "closed" ["ping_status"]=> string(6) "closed" ["post_password"]=> string(0) "" ["post_name"]=> string(19) "xxiii-edizione-2014" ["to_ping"]=> string(0) "" ["pinged"]=> string(0) "" ["post_modified"]=> string(19) "2022-10-25 14:03:13" ["post_modified_gmt"]=> string(19) "2022-10-25 12:03:13" ["post_content_filtered"]=> string(0) "" ["post_parent"]=> int(33) ["guid"]=> string(44) "https://www.musicapordenone.it/?page_id=2945" ["menu_order"]=> int(0) ["post_type"]=> string(4) "page" ["post_mime_type"]=> string(0) "" ["comment_count"]=> string(1) "0" ["filter"]=> string(3) "raw" }

Newsletter

Iscriviti per rimanere aggiornato sulle novità e gli eventi di Musica Pordenone.